Vi ricordate quando vi siete innamorati della Formula 1? Quell’attimo in cui è scoccata la scintilla, la passione per quei 20 uomini che, citando una delle più celebri frasi di mia madre, “girano in tondo dal giovedì alla domenica su una bara con le ruote”?
La mia generazione, ha iniziato a seguire la Formula 1 quando Schumacher e la Ferrari alzavano una coppa dietro l’altra, portandosi nel cuore e nella mente le vittorie del kaiser e della Rossa di Montezemolo e Jean Todt.
Ecco, sebbene anche io abbia iniziato a seguire il Mondiale così, da piccolo la mia passione per le corse era, inizialmente, monopolizzata da un mondo che già in tenera età avevo visto dal vivo: i rally.
Il colpo di fulmine tra me e la Formula 1 avvenne in maniera del tutto anomala, per un bambino.
Era domenica pomeriggio, e papà aveva deciso di riordinare le VHS. Ad un certo punto, spunta una collana di videocassette sulla Formula 1 di cui mi sfugge il nome. Mi ricordo, però, la custodia nera e rossa con la scritta Fabbri Editore in giallo sul lato e, in particolar modo, l’odore della carta della custodia. Non saprei descrivervi il perché, è passato troppo tempo, ma era ciò che caratterizzava quella videocassetta dalle altre, tutte così simili e mangiate dall’umidità.
Iniziammo a guardare tutta la collana. Una ogni sera, prima di andare a dormire.
Tutte le notti mi addormentavo con le immagini sgranate di quelle cassette consumate, con la voce del narratore fuori campo che risuonava incessante nella mia mente, le cui musiche, spettacolari, erano il volano naturale per la mia immaginazione.
Grazie a quella narrazione così romantica e precisa delle gesta dei piloti, la mia mente volava sulle piste di tutto il mondo, immaginandomi alla guida di quelle auto i cui motori dovevano essere enormi, “quanto quelli di un aeroplano” pensavo, per andare così veloci. Papà diceva che avevano oltre 1000 cavalli e per guidarle servivano “2 palle così”. “Così come?” gli chiedevo ingenuo. E lui, di tutta risposta, allargava le braccia a dismisura.
Però, non male questa Formula 1.
Una di quelle sere, guardammo una videocassetta che, se la memoria non mi inganna, era intitolata “La cometa Gilles Villeneuve” o qualcosa di molto simile. Avevo già sentito parlare di questo pilota, avevo visto anche qualche altra videocassetta che narrava le sue imprese, una fra tutte il duello con Arnoux a Digione nel 1979.
“Bravo, bravissimo”, pensavo; ma i rallisti dell’epoca, i vari Sainz e Rovampera (Senior ovviamente), Mäkinen e Auriol, Cunico e Aghini, erano altrettanto spettacolari.
Avevo bisogno di qualcosa di più, di diverso forse, per innamorarmi davvero di quello sport. Ciò che cercavo, lo trovai in quella cassetta.
La mia folgorazione è datata 21 Giugno 1981. O meglio, visto che al tempo non ero ancora nato, è avvenuta circa vent’anni dopo, ma guardando le immagini di quel giorno.

La Formula 1 è in Spagna, a San Sebastián de los Reyes per la precisione, dove, sul Circuito permanente del Jarama, è in programma il 7° round della stagione.
Il Gran Premio precedente si era svolto lungo le anguste strade di Monaco e, contro ogni pronostico, aveva visto l’inedito trionfo di una Ferrari turbocompressa, alla cui guida c’era proprio il canadese volante, alla prima vittoria in un circuito europeo. Non era stata una vittoria come le altre.
Jarama, esattamente come Monte-Carlo, è un circuito molto tortuoso, caratterizzato da lunghe curve in appoggio che si susseguono senza soluzione di continuità e che, sulla carta, non danno scampo alla 126CK, apparentemente costretta ad accontentarsi delle briciole lasciate dalle più agili e guidabili vetture aspirate.
I favori del pronostico sono, infatti, tutti per le due Williams di Alan Jones e Carlos Reutemann e per la Ligier di Jacques Laffite, mentre, già dal venerdì, appare chiaro che per l’altro contendente al titolo, quel Nelson Piquet su Brabham che aveva buttato alle ortiche la vittoria a Monaco con un incidente alla curva del Tabaccaio, sarà un week-end tutt’altro che semplice.
Si arriva al sabato, e le qualifiche confermano le previsioni. Pole per Laffite, seguito dalle due Williams. Le Ferrari sono dietro: Villeneuve è settimo, mentre il suo compagno Pironi non riesce a fare meglio del tredicesimo tempo.
Pronti via e Laffite resta al palo, facendo slittare la frizione. Dalla prima curva esce Jones in testa, seguito da Reutemann e da uno splendido Villeneuve, autore di una partenza magistrale. All’inizio del secondo giro, la 27 rossa tenta con successo l’attacco sull’argentino della Williams in fondo al rettilineo di partenza.
Ma, come da copione, sembra non esserci storia: l’esuberante Ferrari fatica a fare strada, combattendo con una trazione sempre precaria e che, quando si trova a dover raccordare le traiettorie, sembra un elefante in un negozio di cristalli. Le Williams, al contrario, sono agili e affilate, e danzano sinuose lungo le curve del circuito spagnolo.
Jones va in fuga, ma dopo tredici giri esce di strada lasciando a Villeneuve la testa della corsa.

L’aviatore è seguito come un’ombra da Carlos Reutemann. I due sono agli antipodi come stili di guida: irruenza e aggressività sono il marchio di fabbrica del canadese, mentre l’argentino predilige una guida pulita e scorrevole, che esalta le doti telaistiche della FW07.
Inizia così un tira e molla infinito, con Reutemann che nel misto stretto del circuito è decisamente più veloce della Ferrari. Villeneuve, però, sfrutta tutta la potenza del 6 cilindri turbo nei 900 metri del rettilineo d’arrivo per prendere fiato e staccare l’alfiere della casa di Grove.
La Williams è a caccia, e Villeneuve sembra non avere scampo. Reutemann ha il colpo in canna, è un cecchino che aspetta il momento più propizio per colpire l’obiettivo. La Ferrari fa una fatica spaventosa a scaricare a terra la potenza in uscita dalle curve, con Villeneuve che usa tutta la delicatezza di cui è dotato il suo piede destro per non distruggere le gomme.
Passano i giri e la situazione non cambia. Villeneuve resiste, sfoggiando una gara quasi del tutto esente da errori anche nelle delicate fasi di doppiaggio dove, anzi, riesce spesso a guadagnare qualcosa.
Nel frattempo, da dietro, rinviene poderosamente Jacques Laffite, scivolato fino all’undicesimo posto dopo una partenza da dimenticare, seguito da Watson su McLaren.
Il commentatore di allora, il compianto Poltronieri, definisce la gara “smorta”. La Williams sembra un’estensione della Ferrari tanto è vicina, ma gli sforzi prodotti da Reutemann non portano mai ad un vero e proprio tentativo di sorpasso.
C’è, però, qualcosa di diverso dal solito. Qualcosa a cui nessuno era abituato.
Villeneuve è insolitamente pulito nella guida, è calmo e concentrato come poche altre volte. Sa che non può sbagliare. Frena con le ruote dritte, non affonda mai la staccata e, se non fosse per un Reutemann pressoché chirurgico alle sue spalle nel raccordare le sequenze di curve del tracciato spagnolo, sembrerebbe quasi che sia Gilles a fare le traiettorie migliori.
Quello tra i due piloti in vetta è un elastico costante, con Carlos che sembra non voler azzardare un sorpasso che possa compromettere la corsa e le sue possibilità iridate, quasi convinto che, quel canadese che fino ad ora aveva vinto trofei solo con le motoslitte, prima o poi avrebbe sbagliato. L’ha sempre fatto. Lo chiamavano l’aviatore apposta, per la facilità con cui le sue auto volavano fuori pista. Era stata solo la fortuna a farlo vincere a Monaco, così dicevano, e Poltronieri non manca di sottolinearlo, quasi a voler esorcizzare la paura di un errore.
Mancano 23 giri alla fine della corsa, quando ai due in vetta si unisce Laffite. Reutemann se ne accorge e cerca di forzare la mano, ma i suoi sforzi restano vani e finisce anche per subire il sorpasso del pilota della Ligier. Il francese si prende il ruolo di primo inseguitore di Villeneuve in un gruppo che, qualche tornata dopo, accoglierà anche Watson. Il nordirlandese, non appena completata l’opera di ricongiungimento, si libera della Williams di Reutemann con un rischiosissimo sorpasso all’uscita dell’ultima curva. Sono in quattro adesso. Quattro piloti in poco più di un secondo.

Laffite è aggressivo alle spalle della Rossa, si fa vedere praticamente ad ogni curva, ma Villeneuve non se ne cura. Ha altro a cui pensare. Le sue Michelin iniziano ad accusare pesantemente tutta la brutalità della turbina KKK di cui era dotata la vettura di Maranello, e il pilota canadese inizia a lottare seriamente con il sovrasterzo. Ma la gara è ancora lunga.
Quando mancano 15 giri alla fine, il gruppo è ancora estremamente compatto e Gilles non può permettersi sbavature. Ciò che succede dietro non gli interessa, potrebbero anche togliergli gli specchietti, tanto sono inutili. Laffite si sposta a destra e a sinistra nel tentativo di infastidire il pilota della Ferrari, cercando un pertugio, uno spiraglio, per infilare il muso della sua Ligier, ma non c’è verso. Il canadese non sbaglia niente. Non un grado di sterzo più del necessario, il suo piede destro si appoggia sul pedale del gas con una delicatezza di cui nessuno lo credeva dotato, forzando le staccate quel tanto che basta per non permettere al francese alle sue spalle di superarlo. È al limite, l’aviatore. Ma, a differenza di tante altre volte, non lo supera. Si tiene in equilibrio sul quel filo invisibile da cui potrebbe cadere rovinosamente alla prima indecisione.
La bandiera a scacchi sembra un miraggio tanto è lontana. A 10 giri dalla fine si aggrega al gruppo anche Elio De Angelis alla guida della Lotus. Il serpentone è unito. Cinque auto in meno di due secondi. Sembra una processione. Villeneuve resiste.
Più passano i giri, più empatizzo con quel piccolo canadese con il volto da passerotto spaurito, braccato da quattro mastini che vogliono il suo sangue. È una battaglia persa. La Ferrari dà evidenti segni di stanchezza: le gomme sono al limite e i freni, ormai in evidente crisi, continuano ad arrestare l’auto solo per la forza immane che Gilles imprime sul pedale del freno.
Si ribella la Rossa, scalcia, come a volersene andare da quel circuito così stretto in cui si sente un leone in gabbia, come un condannato a morte che cerca di liberarsi dalla presa dei suoi assassini. Ma Gilles continua a dominare la sua Ferrari, a soffrire insieme a lei mentre le sue forze psicofisiche lo abbandonano lentamente, lasciando spazio a una mistica e incomprensibile fusione uomo-macchina che gli fa percepire ogni avvallamento, ogni bloccaggio, ogni derapata come se fosse un organo meccanico dell’auto. Ad ogni azione di Gilles, corrisponde una reazione uguale e contraria della Ferrari e viceversa. Erano una cosa sola.
Ed era come se ci fossi anche io lì con lui, a spronarlo, trattenendo il fiato fino al rettilineo, giro dopo giro, curva dopo curva, riempiendo i vuoti nella telecronaca con le mie incitazioni: “Vai Gilles, vai!” “Attento che attacca! Chiudilo!”.
Non importava che quella gara si fosse corsa 20 anni prima. Io ero lì. La mia mente e il mio cuore avevano viaggiato nel tempo fino a quella calda e afosa domenica di fine Giugno, a San Sebastián de los Reyes. Ero entrato in un vortice di emozioni che non avevo mai provato prima.
Li stava tenendo dietro. Contro tutto e contro tutti.
Laffite non molla, ci prova fino alla fine ma senza risultato, se non quello di farmi rischiare un infarto quando all’ultima curva si butta all’interno per poi accorgersi che non c’è spazio a sufficienza, riaccodandosi alla 27.
Dopo ottanta giri, ecco la bandiera a scacchi. È finita.
Ero in estasi, urlavo e saltavo come una cavalletta davanti al televisore, mentre mio padre rideva di gusto. “Ce l’ha fatta! Ce l’ha fatta! Li ha tenuti tutti dietro, Gilles ha vinto!”.
Villeneuve, quella domenica di Giugno del 1981, a Jarama aveva vinto e io, 20 anni dopo, ne ero rimasto folgorato.
“Riavvolgi il nastro papà! Voglio vederla ancora, da capo. Mi sono innamorato”.