Nella storia dell’automobilismo agonistico, Jack Brabham occupa un posto molto importante. Anche se vincitore di tre titoli iridati nel 1959, 1960 e 1966, e nonostante sia stato il primo pilota-costruttore della Formula 1, l’australiano nel mondo delle corse ha lasciato poche tracce. La causa, forse, si cela nel suo essere scontroso, avaro di parole e incomunicabile che lo ha reso noto come “Black Jack”.
La passione di Jack Brabham per la meccanica, secondo alcuni biografi, risale a quando aveva sei anni. Più che sui libri di scuola, pare che amasse trascorrere il tempo fra i motori, per mettere in pratica ogni conoscenza acquisita. Investendo giorno dopo giorno impegno e dedizione nella sua passione, riesce a diventare apprendista montatore e tornitore prima di andare sotto le armi. In più, il frequentare le scuole serali gli consente di approfondire sufficientemente l’arte di riparare automobili.
Quando viene chiamato alle armi, Jack è meccanico presso la Royal Air Force australiana. Un’esperienza che lo invoglia ad interessarsi anche al volo.
Congedato nel 1946, però, non vede l’ora di tornare alle sue adorate automobili: una “speedway midget” con motore JAP è la sua prima macchina da corsa, commissionatagli da un americano che gli trasmette la curiosità per le competizioni, tanto che Brabham corre e vince in quella specialità in Australia, dal 1948 a 1951. Passa poi alle corse su strada, in particolare a quelle in salita, e due anni più tardi conquista il massimo riconoscimento anche in questa nuova categoria.
Sarà la Cooper-JAP, dotata di un motore HRD di 1000 cc, a condurlo nel conseguimento di una serie di successi e a una notorietà spinta oltre i confini del suo Paese: nel 1955, infatti, decide di cercar fortuna in Inghilterra.
È qui che incontra Charles Cooper, con cui si accorda nel ’57. Il Signor Cooper, insieme a suo figlio John, era considerato un vero innovatore nel campo automobilistico. Brabham, riesce a collaborare con loro nella duplice veste di pilota e collaudatore, specialmente nella messa a punto di macchine a motore posteriore che i Cooper stavano realizzando.
Il ’57, per Jack, segna anche il suo approdo in Formula 1. Partecipa al Gran Premio di Monaco come unico rappresentante della Cooper. Un esordio da dimenticare: la stampa definisce l’australiano come “il più sfortunato pilota della giornata”.
Manca qualche giro alla fine della corsa monegasca, e Brabham è terzo. A creargli problemi, dopo una brillante prestazione con la 2200, è un guasto alla pompa di benzina che gli allontana la possibilità di classificarsi in una posizione meritata. Si deve così accontentare di una sesta posizione, ottenuta dopo aver spinto la sua vettura a mano per un lungo tratto. Nelle quattro successive presenze della stagione, ottiene tre ritiri e un settimo posto nel Gran Premio di Pescara.
Il 1958 è un anno di attesa. Questo perché, sulle nove gare a cui prende parte, il miglior risultato è una quarta piazza. La Cooper vive un’ottima annata, grazie alle imprese di Stirling Moss e Maurice Trintignant con i colori della Scuderia Walker. È nel 1959 che la carriera di “Black Jack” prende finalmente piede, e lo si intuisce sin dalla prima corsa a Monte-Carlo. Vince, anche con l’aiuto di una piccola dose di fortuna dovuta dal ritiro dei suoi principali avversari, Moss e Behra. Piazza d’onore anche nel secondo appuntamento stagionale; arriva terzo in Francia, poi ancora primo in Inghilterra, terzo a Monza, quarto nel Gran Premio degli Stati Uniti.
Alla fine del calendario mondiale, vince il titolo con un margine di vantaggio sull’avversario Brooks di quattro punti, una prova evidente dell’equilibrio che ha regnato quell’anno in Formula 1. Il duro confronto che Brabham sostiene con Moss nella gara in terra inglese, mostra la sua non comune combattività, e se Cooper inizia a raccogliere i frutti della perseveranza dei suoi creatori, molto lo deve anche all’australiano che, nel ’60, è nuovamente Campione del Mondo. Dopo un inizio incerto, dove non porta a termine i primi due Gran Premi, fa suoi i successivi cinque. La stagione prevede nove gare ma, sia Brabham, sia tutte le scuderie inglesi, hanno disertato la tappa italiana in segno di protesta. Il motivo, l’inclusione nel tracciato dell’anello di alta velocità.
Nel 1961, l’assenza di un motore valido priva la Cooper, e le altre marche britanniche, di un mezzo competitivo con cui difendere il proprio prestigio. In tutto il Mondiale, Brabham totalizza appena quattro punti in classifica, ma è il primo ad avere l’8 cilindri Coventry-Climax (presentato al Gran Premio di Germania) non appena è ultimato. Un anno disastroso, che segnerà l’inizio di una crisi profonda, conclusa solo nel ’66 con la conquista del terzo sigillo mondiale. Eppure, il ’61 avrà per sempre un posto nel suo cuore appassionato: partecipa, per la prima volta, alla 500 Miglia di Indianapolis. La sua minuscola Cooper, con un motore di appena 2700 cc, viene accolta tra stupore e scetticismo. Nessuno s’immagina che, in breve tempo, tutti la imiteranno.