Il 7 Aprile 1968, Jim Clark, lo “scozzese volante” delle corse, moriva tragicamente in una gara di F2 sul circuito di Hockenheim.

Jim Clark: 43 Gran Pre­mi vin­ti di cui 25 tito­lati, 2 titoli mon­di­ali, 11 vit­to­rie in gare di F2 e 7 in F3, una 500 miglia di Indi­anapo­lis, 10 suc­ces­si in gare GT e Sport, 18 in cat­e­go­ria Tur­is­mo, 16 in Cop­pa Tas­ma­nia, cam­pi­ona­to vin­to 3 volte. Ecco per­ché molti lo con­sid­er­a­no il più grande di tut­ti. Il Cam­pi­one scozzese, ex pas­tore di greg­gi che lega­va la sua sto­ria auto­mo­bilis­ti­ca alle vet­ture di Col­in Chap­man, incon­tra il suo fatale des­ti­no nel ’68. Il 1° gen­naio vince con una Lotus par­ti­co­lar­mente promet­tente il Gran pre­mio del Sud Africa, dis­tanzian­do di oltre 25 sec­on­di il com­pag­no di squadra Gra­ham Hill e di oltre 30 Jochen Rindt su Brab­ham. Poi, dato che il suc­ces­si­vo appun­ta­men­to mon­di­ale è pre­vis­to in Spagna a Mag­gio, ha in pro­gram­ma la Cop­pa di Tas­ma­nia, che con­quista, e la For­mu­la 2. Il 7 Aprile, parte­ci­pa alla “Mar­ti­ni Gold Cup” di F2, ad Hock­en­heim. Fa molto fred­do, e i mezzi mec­ca­ni­ci ne risentono. La gara si svolge con pista bag­na­ta, alter­na­ta a trat­ti qua­si asciut­ti e poz­zanghere sparse. Durante le prove, la Lotus di Jim Clark e quel­la del suo com­pag­no di squadra Gra­ham Hill, non si dimostra­no com­pet­i­tive e sono afflitte da vari prob­le­mi. Clark ha una tipo 48 con abita­co­lo più lun­go, orig­i­nar­i­a­mente costru­i­ta per Hill, già a sua dis­po­sizione dal­la gara prece­dente, a Barcellona.

Ques­ta mono­pos­to, rispet­to alla ver­sione “clas­si­ca” uti­liz­za­ta da Hill, è mod­i­fi­ca­ta nei pun­ti d’attacco delle sospensioni.Parte la pri­ma manche: quan­do Clark non parti­va dal­la pole – ques­ta vol­ta con­quis­ta­ta da Jean-Pierre Bel­toise (Matra MS7) – affronta­va la gara con cir­cospezione, poi risali­va le posizioni sino a rag­giun­gere il coman­do e si dis­tanzi­a­va dagli inse­gui­tori fino ad accu­mu­la­re un ragionev­ole mar­gine di dis­tac­co per con­clud­ere, sal­vo prob­le­mi tec­ni­ci, da vinci­tore. Non c’è allo­ra da stupir­si trop­po se la sua Lotus con i col­ori del­la Gold Leaf e il numero 1 in evi­den­za, dopo quat­tro giri di cor­sa, è solo otta­va. Sul­la sua vet­tura, sono mon­tate le gomme da bag­na­to messe a dis­po­sizione dal for­n­i­tore, con­sid­er­ate meno effi­caci di quelle del­la con­cor­ren­za. Jim, comunque, tira come al solito.

Appe­na inizia­to il quin­to giro, affronta una cur­va a sin­is­tra, nel­la quale la Lotus perde aderen­za. È bra­vo a “ripren­der­la” e impos­ta la suc­ces­si­va cur­va a destra, di rag­gio più ampio, un trat­to di cir­cuito con­sid­er­a­to “facile” dai piloti. Lì, ad oltre 200 Km/h (qual­cuno stimerà 240 Km/h), la sua vet­tura perde aderen­za sulle quat­tro ruote e s’intraversa. Clark s’affanna sul volante per ripren­der­la, ma la mono­pos­to parte drit­ta per la tan­gente, sfon­da la recinzione a bor­do pista, e va a schi­antar­si con­tro un albero, div­i­den­dosi in due all’altezza dell’abitacolo.

Un’uscita di stra­da che in quel pun­to, a quel­la veloc­ità, non las­cia scam­po. Clark ripor­ta ferite letali alla tes­ta. Ormai sen­za vita, il Cam­pi­one viene trasporta­to all’ospedale di Mannheim, men­tre la gara prosegue.Lo speak­er dell’autodromo annun­cia che è fer­i­to. La notizia del­la sua morte viene tenu­ta nascos­ta per cir­ca due ore, men­tre la manche si con­clude con la vit­to­ria di Jean-Pierre Bel­toise. Anche Gra­ham Hill apprende solo a fine manche la trag­i­ca sorte del col­le­ga. In un silen­zio impres­sio­n­ante, il pro­gram­ma del­la man­i­fes­tazione pros­egue: il deside­rio dis­per­a­to di credere che tut­to ciò non sia vero è più forte del­la cru­da realtà, e si va avanti.

Come abbia fat­to il Cam­pi­one a finire fuori stra­da diven­ta subito un mis­tero. Il tremen­do impat­to, ha let­teral­mente dis­in­te­gra­to la mono­pos­to, proi­et­tan­done pezzi ovunque, al di là delle bar­riere. La car­cas­sa del­la Lotus è ridot­ta così male che non si può eseguire una val­u­tazione ogget­ti­va sulle cause dell’incidente. Subito si par­la di usci­ta di stra­da causa­ta da una manovra del pilota nel ten­ta­ti­vo di evitare un ani­male, o un ragazz­i­no, che sta­va attra­ver­san­do la pista. Chris Amon, pilota del­la Fer­rari Dino, dirà che Clark pro­cede­va davan­ti a lui sen­za guadagnare né perdere ter­reno e che c’er­a­no pozze d’ac­qua dap­per­tut­to. Derek Bell, del team Frank Williams Rac­ing Cars, dichiar­erà che la cur­va dove era usci­to di stra­da Clark “era lun­ga, dolce e larga e la si pote­va per­cor­rere appa­iati a 240 Km/h, anche sul­la piog­gia“. Nonos­tante l’asfalto fos­se a trat­ti bag­na­to, la vis­i­bil­ità era buona, dirà Piers Courage (Frank Williams Rac­ing Cars) men­tre per Chris Irwin (Lola Rac­ing) c’era un muro d’ac­qua ed era impos­si­bile vedere qual­cosa. Max Mosley, debut­tante con una Brab­ham BT 23 del­la Lon­don Rac­ing Team, ricorderà che a causa degli spruzzi d’acqua soll­e­vati dalle ruote delle mono­pos­to non si vede­va nul­la se non, in alto, le cime degli alberi ai mar­gi­ni del­la pista: l’unica cosa che si pote­va fare era cur­vare seguen­dole, sen­za vedere dove met­tere le ruote.

Insom­ma, la ricostruzione del tragi­co even­to che ave­va spaz­za­to dal­la sce­na dell’automobilismo il pilota più tal­en­tu­oso di tut­ti, alla luce delle prime con­trastan­ti tes­ti­mo­ni­anze, che dice­vano tut­to e niente, si prospet­ta dif­fi­cile. Si fa avan­ti allo­ra l’ipotesi di un pneu­mati­co pos­te­ri­ore che si era sgon­fi­a­to. Chap­man, spes­so crit­i­ca­to per costru­ire vet­ture tan­to “leg­gere” quan­to “frag­ili“, la sostiene sin da subito.

I Media rac­col­go­no l’”assist” generan­do altra con­fu­sione. C’è chi scrive di foratu­ra alla gom­ma pos­te­ri­ore destra, chi a quel­la sin­is­tra, chi di scop­pio di pneu­mati­co o di ammor­tiz­za­tore, oppure di un pneu­mati­co sgon­fio fuo­rius­ci­to dal cer­chione: ognuno dice la sua. Bell, invece, ricor­da che la mono­pos­to di Clark, sin dalle prime prove, ave­va sof­fer­to di improvvisi speg­n­i­men­ti del motore dovu­ti a prob­le­mi di accen­sione, a quan­to pare non risolti. Osser­va che uno speg­n­i­men­to improvvi­so del motore avrebbe potu­to far perdere a Clark il con­trol­lo del­la vet­tura. Irwin, che in gara segui­va Clark a cir­ca 250 metri di dis­tan­za, ave­va sostenu­to che l’auto di Jim avesse emes­so improvvisa­mente uno scop­pio, verosim­il­mente per un prob­le­ma mec­ca­ni­co, pri­ma di uscire fuori pista.

Infine, una sor­ta di ammis­sione di col­pa del costrut­tore dei pneu­mati­ci mon­tati sulle Lotus, cal­ci­ficherà nel pen­siero comune l’ipotesi che l’uscita di stra­da era sta­ta causa­ta da un prob­le­ma ad una gom­ma, per una pic­co­la foratu­ra che ne avrebbe provo­ca­to un lento sgonfiamento.

Alcu­ni cro­nisti, comunque, insis­ter­an­no nel riportare una tes­ti­mo­ni­an­za sec­on­do la quale Clark si uccise per evitare l’investimento di tre per­sone, tre emer­i­ti sprovve­du­ti che sta­vano attra­ver­san­do la pista nel pieno svol­gi­men­to del­la cor­sa. Molti anni dopo, si dirà che il costrut­tore di pneu­mati­ci si era pre­so la col­pa per fare un favore a Chap­man, pre­cisan­do che, in realtà, l’incidente era sta­to provo­ca­to dal­la rot­tura del­la sospen­sione pos­te­ri­ore destra del­la Lotus 48. Era ques­ta, in ulti­mo, la ver­ità? Chi può dirlo?

Quan­do il più grande di tut­ti se ne va — l’ab­bi­amo vis­su­to anche con Ayr­ton Sen­na — si perde la bus­so­la, ci si sente stordi­ti, increduli, suonati come un pugile che le ha prese di brut­to. L’istinto è quel­lo di par­larne con altri, cer­care una spie­gazione. È cer­to, invece, che la notizia del­la morte del cam­pi­onis­si­mo scozzese fece il giro del mon­do in poche ore. Si nar­ra che a Los Ange­les una trasmis­sione radio­fon­i­ca musi­cale fu inter­rot­ta per dare il tragi­co annun­cio. Clark era famoso negli States soprat­tut­to per aver gareg­gia­to e vin­to a Indi­anapo­lis. Data la notizia, lo speak­er volle aggiun­gere: “Se, come me, siete addo­lorati per la morte di Jim Clark, allo­ra accendete i fari delle vostre auto“. E in un bat­ti­to di ciglia tutte le strade, in pieno giorno, bril­larono di migli­a­ia di luci: migli­a­ia di pic­cole stelle per salutare la più grande di tutte.

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