Era il 21 Marzo del 1960 quando San Paolo abbracciava l’arrivo di un piccolo Ayrton Senna Da Silva. Da quel giorno, sono trascorsi sessant’anni.
Come la primavera, che spazza via il grigio e il freddo delle giornate colorando i paesaggi e riempiendo l’aria di nuovi profumi, Ayrton era una fresca rosa gialla in un campo di margherite. Era la novità, la rivoluzione, il fascino e l’energia. Era ciò che non si era mai visto nel mondo delle corse.
Un campione mistico, che ha interpretato il suo pericoloso mestiere in una vera missione, tanto da dedicarci un’intera vita, in tutto e per tutto. Un amore incondizionato per cui ha rinunciato ai piaceri della gioventù, per cui ha abbandonato il suo Brasile, la sua famiglia e gli affetti per trasferirsi in Inghilterra, la terra dei futuri eroi del volante.
Tanto impegno e sacrificio per costruire una carriera ricca di soddisfazioni. Ayrton è stato un campione dai mille volti, uno coerente con l’altro, un pignolo, un perfezionista, con la macchina, con i tecnici, ma innanzitutto con sé stesso. Sapeva calamitare l’interesse di tutti, pur avendo la tendenza a chiudersi nel mondo dei suoi sentimenti, delle sue riflessioni, al punto di apparire costantemente malinconico e pensieroso, anche nei momenti di gioia.
Regalava il suo sorriso alla gente perché, in fondo, correva per la gente. Poteva essere il figlio ideale, il fratello, l’amico. Ha avvicinato alla Formula 1 anche chi non l’aveva mai seguita. Quarantuno vittorie iridate, sessantacinque pole position, tre Mondiali vinti… ma questi sono solo numeri che non quantificano a dovere la grandezza dell’uomo Ayrton. Ogni vittoria di Senna portava con sé qualcosa di magico, il gusto dell’impresa impossibile. E, alla fine, lo sventolio orgoglioso della bandiera brasiliana.
In privato ha evidenziato la sua riservatezza, la non mondanità, la beneficenza mai strombazzata, la generosità di un uomo nato ricco e diventato potente, ma rimasto attaccato a valori veri. L’ha aiutato il misticismo, fino a diventare il Numero Uno. Dio era con lui, ricordava, lo sentiva vicino sulla linea di partenza, nell’abitacolo, lo aiutava a sprigionare quella determinazione, quel coraggio, che lo portava al limite dell’altrimenti irraggiungibile. Non si è fatto pregare per trasformarsi nell’ambasciatore itinerante della sua Nazione, ma non per fini personali. Il suo grande cruccio è stato quello di dare speranza ai meninos de rua.
Con la maturità, aveva realizzato che la sua professione era fatta di egoismo, che solo con quello si poteva primeggiare e, come diceva, “una aggressività, competitività così grande, diventa un modo di egoismo”.
Diceva pure che solo un Nigel Mansell in giornata sarebbe stato in grado di batterlo. Era un pilota che rispettava.
Il suo grande rivale è stato Alain Prost. Con lui ha condiviso, anche a suon di colpi bassi, un’intera carriera: dal Gran Premio di Monaco ‘84, passando per Suzuka ‘89 e ‘90, al podio dell’ultima corsa vinta in Australia nel ‘93, fino alle inaspettate parole pronunciate via radio durante le prove del tragico Gran Premio di San Marino del ‘94: “I miss you Alain”.
A Monza, appostandosi un po’ prima dell’ingresso della Parabolica, si può distinguere chi, raggiungendo a grande velocità la curva, ha il coraggio di “staccare” più in fondo, senza uscire fuori dalla traiettoria ideale. A quei tempi, Senna si elevava sugli altri piloti, guadagnando anche lì quegli attimi che, ogni giro, facevano la differenza.
Nel 1991, in Giappone, si disputa la gara decisiva per il Mondiale. Nigel Mansell, su Williams, deve vincere per giocarsi tutto nel successivo e ultimo Gran Premio stagionale.
Le McLaren di Gerhard Berger e Senna conquistano la prima fila, Mansell parte terzo. Dopo le qualifiche, in McLaren studiano le strategie e decidono di far scatenare Berger davanti, mentre Ayrton aveva il compito di bloccare Mansell.
A Ron Dennis veniva in mente pure un’altra idea: se durante la corsa Senna si fosse laureato matematicamente Campione, la squadra avrebbe dovuto aiutare Berger a vincere. L’austriaco, infatti, non saliva sul gradino più alto del podio da due anni. Vedeva sempre il compagno trionfare a ripetizione, e di questo ne soffriva.
Ma come si fa a chiedere ad un due volte iridato una cosa del genere? Jo Ramirerz e Ron Dennis ne parlano con Ayrton, quel sabato a Suzuka. Il Campione si dice disponibile, ma resta l’incognita di cosa fosse passato per la sua testa una volta in gara. Quando la corsa parte, Berger vola al comando, Mansell finisce fuori pista irrimediabilmente, Senna è secondo. Il vantaggio di Berger aumenta. Dopo alcuni giri, Ayrton ormai staccato dal compagno inizia una furiosa rimonta e, al diciottesimo passaggio, transita in testa. Giro dopo giro stacca il compagno, ma all’ultima tornata si fa raggiungere e, in vista del traguardo, rallenta vistosamente facendosi sorpassare da Berger, che va a vincere.
Un gesto plateale. Vedere però il campione brasiliano, sempre spietato al volante, sacrificare una vittoria per fare quello che la squadra ha deciso, assume un significato più alto di ciò che statisticamente vale. Berger, che non sapeva ciò che avevano deciso con Ayrton, è felice: con il suo compagno non c’era mai stato alcun problema; la superiorità di Senna, “The Magic”, non si discuteva.
Chissà, questo 21 marzo, come lo avresti trascorso. Chissà quante cose ci avresti ancora raccontato. In che modo avresti festeggiato. Chissà di quante altre imprese, dentro e fuori dal concerto dei motori, ci avresti reso partecipi in questi anni. E chissà cosa ci avresti detto, per confortarci, per confortarti, in un momento storico così delicato e difficile. Immagino parole profonde, di speranza, che si concludono con lo sbocciare di un sorriso. Unico. Come un fiore a primavera. Come una rosa gialla, in un campo di margherite.