All’anagrafe c’è scritto Arturio Francesco, ma per tutti è sempre stato Arturo, il Merzario nazionale. Uno di quegli indimenticabili cavalieri del rischio che, del correre in un’auto, ne ha fatto la compagna fissa e poco silente di una vita intera. Nasce l’11 Marzo del 1943 a Civenna, nel comasco.
Quando, con l’auto del papà, partecipa alla Coppa Fisa di Monza arrivando ottavo è praticamente neo patentato. Dopo un’episodica parentesi nei rally nella quale riesce ad affermarsi, si dedica alle cronoscalate insieme ad un’Abarth 1000. In questa specialità di dimostra spesso protagonista vincente, così come nel turismo, dove si classifica secondo nel campionato europeo. Arturo è estroso, bizzarro. Un carattere non scontato che si lega saldamente alle sue imprese, nelle quali esibisce talento naturale e spirito combattivo.
La stampa non può fare a meno di notarlo quando, da pilota-collaudatore ufficiale dell’Abarth, vince il campionato italiano del ’68 e quello europeo della montagna l’anno successivo. L’arrivo del nuovo decennio, quello floreale e rivoluzionario degli anni Settanta, lo inaugura con l’ingaggio dalla Ferrari. La sua carriera incontra e abbraccia nuove soddisfazioni, grandi risultati, imprese memorabili e profonde delusioni. Queste ultime, sempre affrontate con dignità. Perché lui, Arturo, non vuole dimostrare nulla, il suo unico desiderio è alimentare la sua passione rombante dando il massimo in ogni occasione.
Innumerevoli pagine di sport formano il suo curriculum da pilota: rally, cronoscalate, turismo, gare di durata, Formula 1, campionati monomarca, vincendo quasi dappertutto. Tra le conquiste del ’72 spiccano le vittorie con la Ferrari 312 PB: 1000 km di Spa (con Brian Redman), Targa Florio (con Sandro Munari), 500 Km di Imola e 9 ore di Kyalami (con Clay Regazzoni), senza dimenticare il Campionato Europeo Sport 2000 con l’Abarth-Osella. E ancora, il suo palmares si arricchisce nel ’74 con la vittoria alla 1000 km di Monza (con Mario Andretti) alla guida dell’Alfa Romeo 33 TT12, risultato che replica nel ’75 (con Jacques Laffite), stagione ricca di soddisfazioni.
Sue la 800 km di Digione, la 1000 Km di Pergusa, la 1000 km del Nurburgring e la Targa Florio in coppia con il “Preside volante” Nino Vaccarella. Se le ruote coperte lo riempiono di soddisfazioni, non altrettante gioie riceve dalla Formula 1. Le sue, infatti, sono esperienze sofferte. Quando arriva a Maranello, la Ferrari gli mette a disposizione una vettura “work in progress” e, con tutta franchezza, non può che lamentarne le prestazioni. La sua è una critica nei confronti del prodotto, non di Enzo Ferrari, che stima enormemente. La carta stampata, però, non chiarisce l’aspetto, lo pone in polemica con il costruttore, portando alla separazione nel ’73.
Nel ’74, Merzario è alla corte di un Frank Williams ancora non affermato: vive una stagione e mezza in assenza di risultati e continue, profonde delusioni. Poi, salta sei Gran Premi e si ripresenta a Monza sulla Fittipaldi. Sul circuito di casa si qualifica, ma in gara ottiene un 11° posto che, rispetto a quanto raccoglie con le sport-prototipi, non può renderlo felice.
Non si arrende, ma gli anni seguenti segneranno un dispendio di energie mentali e finanziarie non indifferenti. Tranne che al Gran Premio di Germania del ’76 dove scende in pista con una Williams, partecipa al Mondiale di Formula 1 con una March 761 privata, senza acuti e tanti ritiri. Il 1977 è anche peggio.
Dalla vecchia March 751 ex Vittorio Brambilla (un telaio usato da “Mille e una Notte”) aggiornata a 761B, nasce una fiammante monoposto rossa che dà vita al Team Merzario. Esordio in Spagna, quinta prova stagionale, segnato dal ritiro in gara. Pure il Gran Premio d’Austria, che disputa alla guida di una Shadow al posto di Riccardo Patrese si conclude con un ritiro per problemi meccanici. Nel ’78 il Team Merzario può iscriversi all’Associazione dei Costruttori. Ciò significa che c’è qualche possibilità di benefit in arrivo.
L’entusiasmo iniziale di un manipolo di cari amici, tra mille problemi economici, svanisce strada facendo. Il team, per mantenersi in vita, fa ricorso anche a sponsor minori e occasionali, come un’impresa di pompe funebri che compare sull’alettone della sua monoposto al Gran Premio di Monza. Le monoposto non possono disporre di un adeguato e costante sviluppo tecnico. E gli aggiornamenti, in verità numerosi, non migliorano in modo significativo le prestazioni del progetto. Le stagioni ’78 e ’79 sono un incubo: nessun piazzamento, solo ritiri e mancate qualificazioni. Il Team Merzario, pertanto, abbandona la Formula 1. Ma il suo leader non si ferma, guarda con interesse le altre categorie e prosegue la sua carriera da pilota.
C’è un episodio che, lo so, Arturio non ama moltissimo ricordare, però credo sia giusto farlo. Non evidenzia le sue qualità di pilota, quelle sono emerse e ben note. Riguarda la sua nobiltà d’animo e il suo coraggio, elementi speciali che gli danno la forza d’agire quando, nel 1976, al Nurburgring, si fionda senza indugi tra le fiamme per salvare un suo collega.
A Bergwerk, si consuma la drammatica sequenza che vede la Ferrari di Lauda uscire di strada, rimbalzare in pista tra le fiamme e venire urtata dalla Surtees di Lunger e poi dalla Hesketh di Ertl, mentre quella di Edwards la sfiora. Nell’immediato, sopraggiunge la Wolf Williams di Merzario. Il “fantino” vede la vettura di Lauda in fiamme, in mezzo alla pista, mentre nessuno sembra voler far qualcosa: i commissari sono impietriti dinanzi al tempo che passa, il tragico spettacolo sembra aver fermato le lancette dei loro orologi.
Arturio salta dalla sua vettura e decide di entrare nel fuoco. Il rischio è grande: o tutto o niente, ma Niki ha le cinture molto strette e Merzario fatica a slacciarle. Quando ci riesce, prende lo sventurato campione austriaco sotto le ascelle, e con l’aiuto di Edwards lo tira fuori dal pericolo. Ertl, nel frattempo, aveva contrastato il divampare delle fiamme dirigendo verso l’abitacolo il getto di un estintore, strappato dalle mani di un commissario attonito. Lauda, disteso sull’asfalto con il volto che è una maschera di sangue, riconosce Merzario. In italiano, gli farfuglia: “Arturo la mia faccia com’è?”. Il coraggioso comasco gli risponde: “Stai bene, non preoccuparti”. Ma Merzario, dentro, è pieno di rabbia. All’orizzonte non vede nemmeno l’ombra di un’ambulanza. Lauda, come sappiamo, si salverà.
Oggi, quel ragazzo temerario, da sempre visto come il “cowboy delle corse”, compie 77 anni. E del suo grande amore, non ne ha ancora abbastanza.
Bellisssima storia sportiva e umana. Mi piacerebbe tanto avere una dedica su un libro ma non so come fare ad avere un indirizzo per contattare il grande campione di tutti i tempi soprattutto per le diverse categorie e vetture che ha corso.