Voleva soddisfare sé stessa, misurarsi da pilota contro i piloti, senza mai appoggiarsi alle cause del femminismo: è arrivata dove voleva ed è stata “accettata” e rispettata grazie al suo grande orgoglio personale. Il 3 Marzo del 1992 ci lasciava Lella Lombardi, l’unica donna a conquistare punti nella storia della Formula 1.
Quando mio padre conobbe Lella Lombardi fuori dagli autodromi, provò subito un grande rispetto per quella signora dal fisico minuto, che sapeva domare motori con centinaia di cavalli, cambi duri e frizioni da corsa. Lella non si dava arie e quando ti salutava, ti stringeva la mano accompagnando il gesto sempre con un cortese, accennato sorriso. Camicetta, jeans e scarpette sportive: la campionessa si proponeva così, con semplicità e grinta da vendere. Maria Grazia Lombardi, da tutti chiamata “Lella”, era nata il 26 marzo 1941 a Frugarolo, un piccolo paesino in provincia di Alessandria. Ha trascorso la sua vita con il chiodo fisso delle corse automobilistiche, sin quando, a 51 anni, un male incurabile la portava via da questo mondo. Per ricordarla, tempo fa io e mio padre abbiamo parlato di lei con Luciano, suo affezionato nipote.
Luciano ricorda la sua amata zia con simpatia e ammirazione. Erano quasi coetanei, lui aveva quattro anni meno di Lella. Quando potevano, trascorrevano un po’ di tempo insieme e con gli amici: a cena o in una discoteca di Castelletto d’Orba, un paese non molto distante da Frugarolo. “Era grintosa, determinata. Stava bene in compagnia e tutti le volevano bene. Aveva una guida molto precisa e altrettanto veloce” – ricorda Luciano – “È stata sempre innamorata delle corse e dei motori. Già da ragazzina leggeva sempre le riviste di sport automobilistici, quelle poche che esistevano a quei tempi: leggeva e sognava ad occhi aperti di diventare pilota di auto da corsa. Spesso portava con sé, tenendolo in mano, il librettino della Lambretta dei suoi genitori”. I genitori di Lella avevano una macelleria e lei, appena patentata, si era messa alla guida di un furgone, con cui trasportava carne e salumi sino in Liguria. Non aveva problemi a guidare, aveva imparato già a 13 anni: mentre guidava quel furgone, continuava a sognare le corse e la velocità. Finalmente, nel 1965, il suo sogno si avverava: Lella scendeva in pista, partecipando ad alcune gare della combattutissima Formula Monza. I costi elevati, soprattutto per lei, la costringevano a cominciare di nascosto dei suoi genitori, con la complicità di sua sorella e suo cognato. Dopo solo tre gare, Lella vinceva la sua prima corsa su una monoposto, e i suoi genitori lo scoprivano leggendo il suo nome sul giornale: non la rimproverarono, anzi, compresero le sue motivazioni e diventarono subito suoi grandi tifosi.
Per fare della sua passione il suo amato lavoro, Lella decide di trasferirsi a Monza. Nei primi anni di gare si aggiudica molti titoli femminili, ma lei inseguiva, da sempre, un titolo “assoluto”. Così, nel 1970, vinceva il campionato della “Formula 850” e nel ‘73 quello di “Formula Ford Messico”, che valeva la partecipazione ad una gara in Inghilterra. Quest’ultima esperienza le apriva, dopo tanta gavetta, le porte della Formula 1: nel 1975, al Gran Premio del Sudafrica c’era anche lei, con la March 751-Ford, nella stessa squadra di Vittorio Brambilla, che diventerà suo estimatore e amico.
Proprio di quell’anno è la sua gara più importante, il GP di Spagna, dove si classifica sesta, proprio dietro a Brambilla: acquisisce, per prima (e ad oggi unica donna a riuscirvi), un punteggio utile per la classifica del campionato mondiale piloti. Una domenica in cui non si corse senza polemiche: date le insufficienti condizioni di sicurezza, il primo giorno di prove i piloti rifiutarono di scendere in pista. Emerson Fittipaldi, il campione del mondo uscente, decise di non prendere parte al Gran Premio. L’insicurezza prevale su tutto nei giorni precedenti alla corsa e incerta è la partecipazione dei piloti. Vedendo sfumare l’evento, gli organizzatori minacciano i manager dei diversi team di sequestrare le vetture per inadempienza contrattuale. Di fronte a tale ricatto, la maggior parte dei piloti cede, schierandosi sulla griglia di partenza con le rispettive monoposto. Tra queste, anche una bianca March 751. Al suo interno, nascosta dalla scura visiera del suo casco e camuffata da una tuta ingombrante, c’è Lella “la giovane”, così chiamata dal collega e amico Arturo Merzario.
Al via, le vetture partono sfrecciando. Fin dai primi metri la gara rivela dei presupposti che portano a una tragica conclusione. Alla prima curva la March di Brambilla tampona la Parnelli di Andretti. Le conseguenze dello scontro coinvolgono il ferrarista Lauda che a sua volta entra in collisione con il compagno di squadra Regazzoni. Immediato il ritiro dell’austriaco, Regazzoni invece si concede una sosta ai box prima di riprendere la corsa. Al primo giro, Depailler, a causa di un problema alle sospensioni della sua Tyrrell, si ritira. Poco dopo, Wilson Fittipaldi e Merzario lo seguono a ruota per protesta contro la situazione del tracciato. In tutto ciò, l’unica donna della Formula 1 prosegue con noncuranza una gara che prende sempre più una piega drammatica. La March di Lella guadagna posizioni in classifica: è concentrata a terminare il Gran Premio più in alto possibile. Al quarto giro, il motore della Tyrrell di Scheckter va in fumo. Ne segue un’inevitabile perdita d’olio che causa incidenti a tre piloti, fra cui James Hunt, che perde il controllo della Hesketh finendo dritto contro il guard rail. In successione, ritiro anche per Watson e Andretti: il primo a causa di violente vibrazioni alla vettura, il secondo per un problema alle sospensioni. Fuori gioco Ronnie Peterson, Tom Pryce e Tony Brise. Stommelen, per la gioia di Graham Hill che lo dirige dai box, balza al comando con la Lola-Hill, mentre alle sue spalle il tragitto è costellato da ogni tipo di imprevisto. Lella Lombardi, intanto, continua la sua corsa macinando chilometri e velocità, favorita dalle piccole sventure capitate agli altri. Maria Grazia “Lella” Lombardi è un tipo tosto, conosce il lavoro faticoso, quello della sveglia al mattino presto e dei calli che prendono forma nelle mani.
Ha sacrificato la sua gioventù per aiutare la sua onesta famiglia di macellai. Non temeva le stradine di campagna percorse a manetta con la Lambretta rossa di papà, né l’autostrada che percorreva a tutto gas con il furgone del negozio per portare carne e insaccati in Liguria. Ha sempre amato la velocità e quel senso di grande libertà che le regalava. E ora si trovava dentro una monoposto, con una mano stretta sullo sterzo pesante e una mano sulla leva del cambio, così dura da volerla prendere a martellate. Dopo l’ennesima avvisaglia del destino, al sedicesimo giro l’alettone della vettura di Stommelen si stacca scagliando la Hill contro le barriere: l’urto è violento, l’automobile rimbalza
al centro della pista fino a schiantarsi contro le barriere erette sul lato opposto.
La Hill piomba sugli spalti e cade come un meteorite tra la folla di spettatori. A tragedia consumata, tutto procede come se nulla fosse accaduto. La rocambolesca corsa prosegue per altri quattro giri, tra rombi di motori scoppiettanti, accelerazioni ed equilibrismi di guida. Alla 29^ tornata, finalmente la gara viene interrotta: nonostante in un lato della pista si fosse aperta la voragine dell’inferno, la coppa attendeva comunque il suo vincitore, Jochen Mass, seguito da Ickx e Reutemann. Eccezionale e coraggiosa interprete di questo indimenticabile Gran Premio, correndo sull’orlo del baratro, Lella conquista la sesta posizione, che le varrebbe un punto mondiale, ma per la prematura interruzione della corsa il punteggio viene dimezzato. Per la prima e unica volta, una donna ottiene punti nella classifica iridata. L’affermazione di Lella in Formula 1, però, non desta molto clamore, a dimostrazione di quanta discriminazione fosse ancora ben presente nella società degli anni ’70.
Quando Lella si trasferisce a Londra, Luciano quando può la raggiunge sui circuiti: “A zia Lella faceva piacere avere con sé le persone a lei care” –
ricorda – “Sono andato a vederla a Zetwelg e a Silverstone. Per farle compagnia sono addirittura andato in auto sino a Silverstone: un viaggio incredibile, d’altri tempi”. Abbandonata la Formula 1, Lella Lombardi passava alle ruote coperte partecipando anche alla 24 Ore di Le Mans al Mondiale Prototipi, al Campionato Italiano Sport e al Campionato Europeo Turismo, dove disputava alcune stagioni nel team di Elio Imberti di Bergamo. Lì conosceva Bruno Remondi, suo meccanico personale. Nel 1988 la “signora del volante”, soprannominata dalla stampa italiana la “Tigre di Torino”, decide di ritirarsi dalle competizioni per intraprendere la nuova esperienza di team manager alla guida della “Lombardi Autosport”: nelle sue intenzioni, vi era sicuramente quella di poter dare un seguito, non solo un ricordo, alle sue
numerose vittorie.
“A pensarci oggi — conclude Luciano — sembra incredibile che mia zia, proveniente da un piccolo paesino distante da importanti autodromi, solo con la sua grande determinazione sia riuscita ad arrivare in Formula Uno”, quella Formula Uno di allora, di grandi campioni dei quali ha saputo conquistare il rispetto. Lella Lombardi è stata un personaggio unico, schietto, amato: prima di esordire nel campionato della massima formula, aveva dichiarato ad una giornalista: “So che nella Formula Uno non sarà facile, però non ho paura per niente. Io penso che se la macchina è a posto la cosa non è impossibile”. A quella ragazzina, che su una Lambretta rossa sfrecciava per le strade e le vie di campagna della pianura alessandrina, il desiderio di correre le scorreva nelle vene. Per Lella, quel mezzo punto al Montjuich era una grande vittoria, la voce della sua passione. Una voce che l’avrebbe portata ad affermare: “Preferisco avere un incidente che innamorarmi. Ecco, quanto amo le corse.”