Mario Andretti, l’italo-americano iridato nel 1978, oggi compie ottant’anni. Un uomo che ha portato in giro per il mondo un passaporto americano e l’orgoglio di essere italiano.

È il sec­on­do e, per ora, l’ultimo pilota irida­to a stelle e strisce. Sopran­nom­i­na­to “Piedone”, ha alter­na­to la sua car­ri­era tra Sta­ti Uni­ti, mon­di­ale Marche e For­mu­la 1. Per Andret­ti, cor­rere è una reli­gione: ne è immer­so com­ple­ta­mente, anche fuori dal­la pista. Mario con­quista il tito­lo nel 1978 al volante di una Lotus, il mar­chio con cui dieci anni pri­ma debut­ta con una pole posi­tion a Watkins Glen. Corre per la casa inglese anche nel ’69, parte­ci­pan­do ai Gran Pre­mi di Sudafrica, Ger­ma­nia e Sta­ti Uni­ti sen­za vedere la bandiera a scac­chi. Con­quista invece l’in­sidiosa 500 Miglia di Indi­anapo­lis. Nel 1970 “Piedone” pas­sa alla March, e ottiene il suo pri­mo podio arrivan­do ter­zo in Spagna. A fine anno, un lun­go intrec­cia­r­si di tele­fonate con­fer­ma il suo ingag­gio in Fer­rari. La pri­ma gara del 1971 è in Sudafrica, e Mario vince. Un inizio splen­di­do, che il pilota ricor­da come uno dei gran­di momen­ti del­la sua vita, avu­to pro­prio con quel­la macchi­na rossa che tan­to ave­va sog­na­to di guidare. Una vit­to­ria che mette a tacere chi sostiene che i piloti amer­i­cani non gio­cano bene “fuori casa”. Anche nel ’72 Andret­ti corre per il Cav­alli­no alcu­ni Gran Pre­mi; vince in quat­tro gare ris­er­vate alle vet­ture sport.

Dopo un anno lon­tano dal­la mas­si­ma for­mu­la, Mario rien­tra nel ’74 con il team amer­i­cano Par­nel­li. Qui con­quista pun­ti in Svezia, Fran­cia, e un giro veloce in Spagna. Nel ’76, una Par­nel­li in crisi decide di chi­ud­ere il capi­to­lo For­mu­la 1, men­tre la Lotus non riesce a trarre risul­tati apprez­z­abili dalle sue vet­ture. Forse, pro­prio ques­ta comu­nione di sta­ti d’an­i­mo riavvic­i­na Andret­ti a “patron” Chap­man. A metà cam­pi­ona­to la Lotus per­me­tte all’is­tri­ano di rag­giun­gere qualche risul­ta­to, chi­u­den­do ses­to nel­la clas­si­fi­ca mon­di­ale. Con il mod­el­lo 79, la Lotus diven­ta imbat­tibile. E nel ’78, dopo il dominio in Argenti­na, Bel­gio, Spagna, Fran­cia, Ger­ma­nia e Olan­da, s’incorona Cam­pi­one. Mario diven­ta l’eroe dei due mon­di. I due rima­nen­ti mon­di­ali nel team di Chap­man sono delu­den­ti, e nell’81 “Piedone” pas­sa all’Al­fa Romeo, con­qui­s­tan­do un solo quar­to pos­to nel Gran Pre­mio degli Sta­ti Uniti.

Ver­so la fine del 1982, viene richiam­a­to da una Fer­rari rimas­ta orfana di Gilles Vil­leneuve. Patrick Tam­bay, sos­ti­tu­to del pic­co­lo avi­a­tore canadese e nuo­vo can­dida­to alla con­quista del cam­pi­ona­to, alla luce dei risul­tati con­se­gui­ti sep­pure in poche prove, si sco­pri­va affet­to da una “sin­drome arti­co­lare” che lo costringe­va a curar­si e dis­ertare alcune gare. Così, alcu­ni giorni pri­ma del Gran Pre­mio d’Italia, quindices­i­ma pro­va in cal­en­dario che si sarebbe svol­ta a Mon­za il 12 set­tem­bre, Enzo Fer­rari chia­ma a sé Mario. Al suo rien­tro in Italia, era atte­so in dogana da centi­na­ia di tifosi fer­raristi entu­si­asti per il suo arri­vo: bandiere e cap­pelli­ni rossi, car­ta e pen­na per gli auto­grafi. Quel cli­ma caloroso, una vera e pro­pria fes­ta, accom­pa­g­na­va Andret­ti sino all’abitazione del Drake, con cui si fer­ma­va a pran­zo, e sul­la pista di Fio­ra­no, dove il pilota, lo stes­so giorno, pote­va sag­gia­re per la pri­ma vol­ta le prestazioni del­la 126 C2, la com­pet­i­ti­va mono­pos­to che la Casa di Maranel­lo gli met­te­va a dis­po­sizione. A con­clu­sione del­la gior­na­ta, col­pi­to dal calore dei tifosi ital­iani, il pilota dichiar­a­va di non aver “mai vis­to niente del genere” e promet­te­va che a Mon­za non avrebbe tra­di­to le loro aspet­ta­tive. Per la gara, avrebbe sos­ti­tu­ito Pironi e affi­an­ca­to Tam­bay, imbot­ti­to di far­ma­ci per affrontare la cor­sa. Così, Mario Andret­ti, 42 anni e 126 gran pre­mi con 12 vit­to­rie all’attivo, avrebbe ripreso in mano una Fer­rari dopo 9 anni, 11 mesi e 29 giorni dall’ultima sua cor­sa con una Rossa: La domeni­ca era lì, in pri­ma fila, davan­ti a tut­ti, come ogni tifoso fer­rarista (a lut­to per la perdi­ta di Gilles) ave­va sog­na­to. In gara, prob­le­mi con l’accelerazione del­la sua macchi­na, che a trat­ti pro­cede­va a singhioz­zo, lo pri­vano del­la vit­to­ria. Andret­ti con­clude ter­zo, dietro la vincitrice Renault di Arnoux e il com­pag­no di squadra Tam­bay: un risul­ta­to che riem­pi­va di gioia il cuore degli appas­sion­ati e che, anco­ra una vol­ta, dava ragione a Enzo Fer­rari. Quel­lo che Mario regala alla Scud­e­ria di Maranel­lo è un abbrac­cio di energia.

Riti­ra­to dal­la For­mu­la 1, diven­ta per la quar­ta vol­ta cam­pi­one di For­mu­la Indy nell’84. Vi corre fino al ’94, un anno dopo il debut­to nel­la mas­si­ma serie del figlio Michael. Per uguagliare la “Triple Crown” di Gra­ham Hill, ad Andret­ti man­ca solo La 24 Ore di Le Mans: un risul­ta­to che nonos­tante le diverse occa­sioni non riesce ad ottenere. Con­cre­to nelle prestazioni, chiaro nei rap­por­ti e atten­to al busi­ness, Mario Andret­ti ha saputo con­quistare la sti­ma degli addet­ti ai lavori e il rispet­to dei suoi col­leghi con stile e grande pas­sione. Un pilota pro­fes­sion­ista che ha por­ta­to in giro per il Mon­do un pas­s­apor­to amer­i­cano e l’or­goglio di essere italiano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *